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L'Eterno ritorno. Un volumetto appena pubblicato dedicato all'arte di Francesco Magli

E' stato da poco pubblicato un volumetto sull'arte di Francesco Magli di cui riportiamo alcune recensioni di Danilo Eccher e Domenico Cara, ed una poesia di Garcia Lorca che l'artista ama molto.

L'eterno ritorno

"La storia dell'Occidente e le sue contraddizioni", questo potrebbe essere il titolo per una mostra di Francesco Magli, le dissonanze insite nella nostra società e il tentativo che questa fa per celarle sono elementi essenziali per la sua pittura, le illusioni dell'Occidente, la conquista dello spazio, la cibernetica, la scienza atomica, non sono "la storia della nostra società moderna" ne sono solo un aspetto e le altre facce del prisma restano oscurate da questo chiarore.
Già l'informale negli anni sessanta aveva tentato di svelare questo processo, ma le tecniche e le modalità d'uso erano solamente
il frutto di un margine di tolleranza già contemplato dalla stessa società tecnocratica (non a caso l'informale nasce nel paese più progredito dell'Occidente). L'operazione che Francesco Magli svolge è diversa e più modesta, ma forse proprio per questo più sincera; egli non dipinge solo "un'altra faccia del prisma", bensì il prezzo che sempre l'uomo paga alla storia, non è un anti storia", è piuttosto l'immagine di un "eterno ritorno" neitzschano.
L'ideologia occidentale non può, e non vuole, eliminare le sacche di preistoria che con lei convivono, anzi è di queste che essa si nutre: questa è la realtà di cui Magli si fa portavoce.
Determinato il fine Francesco Magli lo insegue non solo sul piano figurativo, ma anche su quello tecnico-compositivo;
infatti i suoi quadri raggiungono il loro livello espressivo di grafica primitiva, attraverso un'accurata scelta tecnica, che spazia dalla contrapposizione cromatica all'essenzialità del tratto, dalla componente materica alla totalità figurativa.
Mezzo e fine sono complementari fra loro, la loro compenetrazione determina una struttura armonica che sostiene il dato pittorico. La corposità materica permette quell'incisività del tratto che, riesumando le primitive incisioni rupestri, ci conduce alla riscoperta delle nostre origini.
Ciò che la società occidentale nega e ciò che la mantiene in
vita, ciò che è essoterico in luoghi controllati è esoterico ovunque. L'eterno ritorno è stato riconosciuto.

Danilo Eccher (1980)

***


L’iconografia che Francesco Magli tenta di istituire per la progressione elettiva individuale, che è quella dell'arte su misura di un proprio riordino mentale e formalistico, a discreta distanza dalle convenzionali letture di opere d'arte contemporanea, produce esempi inediti e fantastici, oggetti dal linguaggio mini/mostruoso, errori biografici di personaggi ignoti, differenziali dalle consecutive figurazioni (e figurabilità) di uomo fisico tout court, senza anima né adempimenti sociali alla base del loro umore di profilo e di linea. Egli mostra una sequenza abbastanza originale di forme/uomo, di somatiche straordinarie, cave, composte da vuoti e pieni labirintici, affondi grafici rornanzabili, astrazioni itinerali che, se non leggono oroscopi particolari, o non si interessano del prossimo viaggio sulla luna, trascrivono (in venature cospicue e inventive) le correnti di bufera che attraversano il volto e l'intelligenza dell'essere nel suo stato di economia, di immobilità fossile, di rifondazione di tutto questo con i fatti continui e discontinui di una protostoria, che appartiene senz'altro alle immagini che Magli ci affida allo sguardo (e alla verifica), con il rischio di una lettura non immediata ma controllata, volontaria. Dove non ci sono formule particolari per sapere di più sul corpus di questi oggetti dell'essere quasi nuragici, i cui volumi straziati e compositi progettano una presenza quanto mai interrogativa o rarefatta: esiste Magli che conosce insospettabilmente uomo fantastico trascurato e riemergente, avvizzito e infelice, degradato della stessa ideologia a esercizio di masticazione e di robotico spezzone della civiltà. In effetti Magli interviene contro cadeste indubitabilità di considerare il protagonista assiduo dell'universo (il Sud soprattutto), dalla sua paura,dalla sua follia prospettica; del tabù attraversato nelle sue strutture intime da oppressioni, mozioni di sfiducia, desideri incompiuti e laceri. Lo stile dell'ambivalenza formale, in apparenza massiccia, segnata da avvenimenti registrati, sezione di fantasma clinico e dì intransigenza, riportata a certi crudeli dogmi di vivisezione scientifica. Ma in essa Magli riscopre (senza didascalie arbitrarie, o previsioni drammatiche da inserire nel confronto di una cronaca tragica e ribelle), la scelta di un tema popolare e opportuno ai tempi d'oggi e a quelli che un suo stesso conterraneo, Tommaso Campanella, ha conosciuto e fissato nella sua opera filosofica i senza omelie, né pubblici poteri culturali). I ritratti non hanno nome proprio perché appartengono ad ogni epoca; l'identificazione potrebbe essere generica e tutt'altro che compensativa della sua riscoperta; cosi lo scultore ha determinato il totem/uomo imparando a memoria la sua passione secolare piuttosto che il rilievo o la connotazione anagrafica (e senza abiti per la pantomima della sua maschera). Quel tanto di primitivo (e primigenio) che c'è nel clima nel magma: legno, ceramica, creta grezza, metallo, confluisce in modo distintivo, è sogno e percorso del ricercatore in arte: si affida a una metafisica secca, espressionistica: fonda il profilo e la prospezione (con l'enigma e l'orrore che sono connessi alle teste dei feticci) attraverso un processo automatico, inventivo, integrando la loro storia anonima sul segreto che il silenzio e la loro ambivalenza trasmettono e alimentano. Un'impostazione tragica dell'uomo ridotto al negativo dalle convenzioni, fatti estremi, usure minerali, sbriciolamento biologico e istanze smarrite nella comunità in cui è vissuto o resta in decapitazione relittuale. Una presenza/assenza che lo scultore calabrese sa adeguare e filtrare in una contestazione tutt'altro che marginale o di circostanza, bensì coltivata con una caparbietà assidua, ambiziosa e sotterranea (egli non abita alcun centro dei clans milanesi del perbenismo culturale, né è capace di spingere l'autoriferimento fino ad obbligare gli altri perché se ne accorgano di ciò che fa).
E intanto convive con queste sue indubitabili archeologie, espunte dalle radici della propria terra (nell'intelligenza di quel microcosmo umano e civile) che riesce ad offrirgli linfe ulteriori (oltre l'infanzia e la memoria, o i luoghi dell'humus e delle verità elementari, pure). Pertanto qualcosa di certo rispunta in innumerevoli riprove del suo lavoro con illuminazioni tematiche e compositive che strangolano i vecchi clichés oleici, gli indizi della bellezza speciosa ed estemporanea, gli eri sordidi e ingenui che adescano ancora alcuni sentimentali incapaci di impegno e autoscoperta, per utilizzare alcune fondamentali forme dell'esperienza, nell'amaro e aspro campo dell'immigrazione lombarda, in geometrie programmate o di spontanei grumi bloccati ed istintivamente animati e premuti in un insieme ondulato e tensivo, senza agiografia o mito. E a ciò diversificare vibrazioni legittime rispetto al ritratto di ignoto (con ginecei conflittuali, oscuri ambiti di senso morfologico, su una rete di progettazione linguistica scavata sulla steppa glabra del volto, senza sorrisi, né premonizioni di sortilegio meridionale, ma brivido di selvaggi eventi, di antichissime bruciature che hanno risucchiato l'attendibilità dell'essere nel campo). Fra solchi profondi, ossa itinerali crepuscolari lembi di persona, il feticcio e la sua spoglia diventano il maggior stato di denuncia di un tipo di scultura violenta che è andata perdendo la carne di spaesanti pieghe cerebralistiche.
Magli invece ristabilisce un insolito rigore, custodendo l'immaginazione poetica interrogativa, senza mai tradirla, o soltanto dilaniandola per imitare (o pietrificare) la traccia della storia.

Domenico Cara (1980)

***

A questo mondo io sono è sarò sempre

dalla parte dei poveri.

Sarò sempre dalla parte di coloro che

non hanno nulla ed ai quali si nega

perfino la tranquillità del nulla. Noi - e mi

riferisco agli uomini di estrazione intellettuale

ed educati nell'ambiente delle classi

cosìdette benestanti - siamo chiamati

al sacrificio. Accettiamolo.

Nel mondo non lottano più forze umane,

ma telluriche. Se mi pongono su una

bilancia il risultato di questa lotta: in un

piatto il tuo dolore il tuo sacrificio e in un

altro la giustizia per tutti, pur con l'angoscia

di un futuro che si pronostica, ma

non si conosce, io su quest'ultimo piatto

batto il pugno con tutta la mia forza.

Federico Garcia Lorca

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